Ara sa terra, massaju, ca est ora de arare...



sabato 17 dicembre 2011

Al di la del petrolio




Faccio spesso fatica a trovare libri degni di nota nella vasta letteratura su ambiente ed energia. Per lungo tempo sono stato (e in parto lo sono tuttora) accanito lettore del filone che definirei apocallito-cospiratore. La premessa in questo genere e' che il pianeta sia ormai sull' orlo del collasso totale (spesso a causa di oscure forze che tramano nell' ombra). Benche' i problemi sollevati siano reali e cruciali, uno dei limiti di simile letteratura e' la tendenza a piegare i dati per dimostrare di avere ragione, con una attitudine che definirei religiosa. Questa visione escatologica a me e' sempre piaciuta a priori, in parte per la falsa presunzione di essere uno di quelli capaci di salvarsi e prosperare. Confesso pero' che un simile approccio non aiuta la causa ambientalista.

Nella mia ricerca di fonti attendibili e di un approccio all' ambientalismo piu' razionale e scientifico, ho finito per imbattermi nella produzione giornalistica e divulgativa di Leonardo Maugeri, top manager di Eni. Anni fa' iniziai a leggere il suo libro "The Age of Oil: The Mythology, History, and Future of the World's Most Controversial Resource"  con un iniziale scetticismo, causato dalla biografia professionale di Maugeri ("come puo' un uomo che lavora per una multinazionale essere attendibile!?") . Scoprii poi che i dati presentati, la bibliografia e l' impostazione del libro risultavano molto piu' solidi di molti scritti sul picco del petrolio e affini.

Nel suo ultimo libro "Beyond the Age of Oil: The Myths, Realities, and Future of Fossil Fuels and Their Alternatives" Maugeri offre una panoramica completa su tutta le fonti energetiche attualmente disponibili, la loro rilevanza sulla produzione presente e futura e il loro impatto ambientale. Ogni capitolo descrive in modo esaustivo una diversa fonte di energia, con tabelle, stime e una bibliografia soddisfacente. Si parte da petrolio, carbone e gas naturale, per poi coprire nucleare, biomasse, vento, solare e geotermico. La parte finale descrive possibili alternative energetiche e il ruolo dell' efficienza energetica. Molti dei dati presentati possono apparire ovvi per una persona esperta del problema energetici. Il libro pero' ha il pregio di offire un quadro generale partendo dal presupposto che, prima o poi, dovremmo andare oltre un paradigma energetico come quello attuale basato su petrolio e carbone. Questa esigenza nasce non dall' idea (scientificamente da provare) che il petrolio sta per finire ma dalla chiara evidenza dei danni ambientali che il presente uso di carburanti fossili sta causando. Il libro non lascia molti spazi a proclami di ottimismo e descrive un quadro generale molto serio. L' autore offre comunque una possibile speranza futura che viene dalla ricerca scientifica e da opportune decisioni politiche (per esempio tasse sulle emissioni di carbonio).

La mia limitata esperienza personale mi porta a dire che la sola scienza non potra' risolvere il problema e, mai come ora, la comunita' scientifica avrebbe bisogno di una maggiore coesione e criteri guida provenienti dall' econonomia e dalla politica. La mia impressione e' che molte risorse siano ora impiegate su progetti che non avranno nessuna speranza di contribuire alla risoluzione del problema. Molti progetti finanziati vanno anche bene per pubblicare su una rivista scientifica, ma hanno poca rilevanza in termini concreti. Fare scienza puo' essere un' attivita' che porta ricchezza intelletuale, ma se il punto ora e' affrontare il problema energetico, penso che ci sia ampio spazio per conciliare meglio "sete di conoscenza" e la ricerca di soluzioni pratiche.



mercoledì 14 dicembre 2011

Un giorno triste



In viaggio da una settimana, non mi sono curato di aprire i giornali per diversi giorni.

Immerso ora in mezzo ai colori, odori e suoni dell' oriente, mi ero svegliato questa mattina con un pensiero allegro nella testa. Pensavo alla bellezza dell' incontro di gente diversa, all' energia che nasce quando popoli si conoscono  e rinascono insieme come entita' nuove.  Pensavo ancora ad un futuro di mescolanze.

Poi ho fatto l' errore di aprire i giornali italiani. Un assalto di gruppo ad un campo Rom, per vendicare la verginita' di una ragazza (pensavo fosse Kabul e invece era Torino). Un fascista uccide due negozianti Senegalesi in pieno centro a Firenze. E molti Italiani sono ancora disposti a trovare scusanti e  giustificazioni. Non si tratta di follia. E' semplicemente l' Italia, o una sua parte non marginale. Non so cosa prevalga ora, se sia di piu' la rabbia,  il disgusto o la paura per il futuro.  So solo che se una nazione dimentica l' accoglienza e non sa quanto preziose siano le energie che i migranti portano, si merita allora un futuro di oblio, isolamento e grigiore.

Il mio cuore sta ora a San Lorenzo. Io sono uno di quelli che parte, va lontano e vorrebbe sempre trovare accoglienza. Io sono uno dei Senegalesi uccisi.




venerdì 2 dicembre 2011

Di banditi, Indiani e occasioni perse


Il Maestro Vittorio de Seta e' morto giorni fa (il 28 Novembre) all' eta' di ottantasette anni. Ci si ricorda spesso degli artisti nel giorno del loro funerale  e negli epitaffi ci si lamenta magari dell' oblio a cui sono stati condannati negli ultimi anni della loro vita.  Ovviamente a de Seta non e' stata risparmiata questa rettorica.
Non ho visto tutte le sue opere, ma il suo capolavoro "Banditi ad Orgosolo" rimane uno dei miei film preferiti di sempre. Lo avevo riguardato mesi fa', spinto da un fatto di vita quotidiana che poco c'entra con la Sardegna. Mentre viaggiavo in auto mi capito' di passare in una riserva Indiana, di quelle che ora sopravvivono grazie al gioco d' azzardo e ai negozi di amuleti, unica vestigia della loro storia passata. Rimane infatti poco di cio' che fu la Nazione Indiana, della loro immensa cultura naturalistica, cucina, religione, relazioni sociali. Un senso di profonda tristezza mi assale ogni volta che vedo uno di quei cartelli dell' amministrazione federale, che ricorda che li' c'era stata una tribu'. Tornato a casa, per un ovvio riflesso psicologico, ho pensato che riguardare il film di de Seta fosse il giusto omaggio per tutte le tribu' scomparse.
Non per la trama, ma per l' atmosfera che ogni scena e immagine sa trasmettere. Mentre guardo il film quasi percepisco l' odore della macchia, del fumo di legna bagnata,  sento quasi come reali i silenzi di quegli spazi aperti e primitivi che solo in Sardegna ho trovato. Potere di un uso magistrale della camera da presa e di un senso profondo di nostalgia. Nostalgia per qualcosa che forse non ho mai conosciuto, un' immagine di costumi ancestrali che, nel bene e nel male, non esistono piu', spazzati via dalla modernita' senza  poi la Sardegna  diventare totalmente moderna.
Il mio non e' un rimpianto reazionario per i tempi in cui si era "poveri ma puri e belli", di pasoliniana memoria. E' un sentimento di occasione persa, che viene da una persona che ha speso tutta la sua vita da adulto fuori dalla Sardegna  osservandone dall' esterno i cambiamenti avvenuti in soli quindici anni, quando ormai la storia aveva gia' fatto il suo corso. Mi chiedo pero' cosa sia rimasto intatto, cosa si possa riusare senza cadere nella trappola del folklore da cartolina o  della visione idealizzata della tradizione. Mi interrogo se abbia ancora senso pensare alla Sardegna come un posto unico e non sia invece il caso di abbandonare ogni resistenza,  piegandosi al corso della storia. Diventare semplicemente un' isola, un pezzo di terra in mezzo al mare, senza tante storie e orpelli intorno. Ma forse questi sono vani interrogativi, soprattutto da chi non ha avuto l' occasione (o il coraggio) di restare e provare a capire cio' che rimane...


giovedì 17 novembre 2011

Popolazione Terra Sette Miliardi

Grafico andamento popolazione mondiale (fonte Wikipedia).
Un ulteriore grafico animato puo' essere trovato qui


La popolazione del pianeta sta per raggiungere i sette miliardi di individui (secondo alcune stime abbiamo invece gia' passato questo traguardo). La notizia non sembra risquotere molta attenzione nelle prime pagine dei quotidiani, in un momento in cui molti giornali sono focalizzati su titoli bancari, crollo dell' euro e proteste in piazza di ogni sorta. Eppure l' idea di essere sette miliardi mi impensierisce di piu' che non lo spread con i titoli di stato tedeschi. La sfida per mia generazione e quelle future sara' soprattutto trovare un modo di garantire cibo ed energia per una popolazione in rapida crescita, con stili di vita in forte cambiamento (e non sempre in una direzione sostenibile). Anche ammettendo che la popolazione si stabilizzi intorno ai sette miliardi (nel grafico corrisponde ad una cifra tra la linea verde e la linea gialla), a leggere i numeri del fabbisogno energetico ci si rende conto che il problema e' enorme e al momento i progressi fatti sono stati minimi. Di solito la stabilizzazione della popolazione e' legata ad un miglioramento dello stile di vita e un diffuso accesso all' istruzione, soprattutto da parte delle donne (c'e' una connessione empiricamente provata tra livello di scolarizzazione e indice di fertilita'). Migliore stile di vita comporta pero' spesso un maggior consumo di risorse, riproponendo comunque il problema di accesso a fonti energetiche.


OECD: Organization for Economic Cooperation and Development.
India e Cina per esempio non fanno parte dell' OECD: in generale
la crescita dei consumi e' nei paesi non OECD.
L' unita' di misura e' il British thermal unit (Btu).


Guardando i dati sulle fonti di energia ci si rende conto che le fonti definite come "rinnovabili" sono ancora una porzione esigua del totale. Se poi si considerano i dati di produzione di elettricita', appare in modo chiaro come gli sviluppi tecnologici fatti non siano sufficienti per affrontare la scala del problema. Gran parte della elettricita' e' prodotta ancora da carbone, mentre se analizziamo i numeri per la produzione di energia in genere, un fetta considerevole di umanita' ha come unica fonte energetica le biomasse (legno, sterco, rifiuti).

Produzione di energia per diverse fonti


Ovviamente non esiste una risposta semplice al problema energetico e nemmeno un colpevole a cui addossare le responsabilita' (potremmo chiamare in causa lo stile di vita occidentale, ma lascio a dopo un simile discorso). Scienziati, giornalisti e politici che sbandierano "La Soluzione ultima" o sono in cattiva fede o non hanno ben chiaro l' ordine di grandezza dei numeri in gioco. Un cambio radicale nei modi di produzione dell' energia richiede forti investimenti, sia pubblici che privati, e non puo' avvenire solo per buona volonta' dei singoli. Un investitore punta di solito il suo denaro su una nuova tecnologia solo quando e' redditizia. Credo sia questo il cuore del problema. Finche' sara' conveniente usare carburanti fossili, non sara' possibile fare decollare altre fonti. Al contempo dire semplicemente "non usiamo piu' il petrolio", non e' una via possibile. Nei prossimi decenni avremo bisogno di una strategia di uscita dalla dipendenza da carburanti fossili, tenendo a mente che il petrolio rimane la risorsa piu' duttile e versatile su cui si sia basata la storia dell' umanita' negli ultimi cento anni. Guardando poi alla storia dell' industria petrolifera, un petrolio "costoso" ha finito per favorire nuovi investimenti e creazione di nuove tecnologie nello stesso settore degli idrocarburi, incrementando la resa dei giacimenti e la scoperta di nuovi. Per la sua densita' energetica, facilita di trasporto, ampio uso in varie produzioni industriali (fertilizzanti, medicinali, plastiche, metalli, cemento...) non sara' semplice trovare una tecnologia di rimpiazzo, capace di dare energia a piu' di sette miliardi di persone, senza distruggere il pianeta. Un petrolio piu' caro sembra essere una condizione necessaria per nuovi sviluppi tecnologici. Nonostante la mia vena apocallittica, penso sia possibile, ma rimando il mio ottimismo a qualche post futuro.

Nota: report completo puo' essere trovato al link dell' Energy Information Administration.

martedì 8 novembre 2011

L'innocente, l' ignorante, l' insicuro






Traduzione del pezzo originale di Jim Bridwell, apparso su
Ascent, Volume 2 Numero 1, Luglio 1973 ( versione in inglese si trova al link)
E' un articolo storico che forse non frega a nessuno di leggere, visto che l' arrampicata moderna va in ben altra direzione. Considerati poi i veri problemi che attanagliano il pianeta e le singole esistenze umane, tutto questo spreco di inchiostro appare forse esagerato. Chi leggera' l' articolo con cuore puro e mente aperta, sapra' pero' ritrovare nell' articolo di Bridwell diversi aspetti ancora presenti in molte discussioni sull' arrampicata e magari trarre qualche spunto di riflessione.

La traduzione ogni tanto non e' letterale, causa difficolta' a tradurre alcune espressione idiomatiche. Spero solo di non violare nessuna legge sui diritti d' autore (la rivista non esite piu' da un pezzo) e non finire al gabbio...

Per farmi perdonare di tutte queste pippe intelletualoidi lascio il link a qualche foto di una delle ultime gite a Yosemite, su due vie "plaisir" ("Absolutely Free" e' un buon esempio di quello di cui parla Bridwell nell' articolo, una via impegnativa data come al solito 5.9).


Ascesa e declino del Yosemite Decimal Sytem

Abbassare il grado di difficolta' di una via e' una pratica insidiosa, ma non e' purtroppo un fenomeno nuovo nel mondo dell' arrampicata. E' una lunga storia, ma ha da poco guadagnato popolarita' a Yosemite. Le motivazioni dietro l' abbassare il grado sono varie, ma i risultati rimangono gli stessi, una mancanza di attendibilita' del linguaggio comune dell' arrampicata.
Chi diminuisce il grado di una via appartiene a tre generi distinti: l' innocente, l' ignorante e l' insicuro. Non siamo particolarmente preoccupati della prima categoria poiche' e' rara. Ci si puo' prendere cura del secondo tipo con l' educazione. Il terzo tipo e' estremamente difficile da rimediare, essendo basato su una immaturita' caratteriale, le cui radici sono alla base degli istinti di tutti gli individui. La scala decimale di Yosemite e' fondata sull' accettazione di un sistema di valutazione di singole vie creato dai padri fondatori di tale scala. Perche' il sistema abbai senso, e' necessario rispettare il metodo di valutazione che ne e' alla base. Le unita' di tempo non cambiano perche' qualcuno corre un miglio piu' veloce di altri. Si genererebbe il caos se ognuno avesse un orologio con una diversa misura del tempo. Non e' possibile fare affidamento su un sistema di misura a meno che non ci si attenga ad esso. Dare il grado ad una via e' un processo relativamente astratto. Una gradazioni giusta implica l' obbligo morale, da parte dell' arrampicatore, di essere il piu' accurato possibile. Un arrampicatore che abbassa il grado di difficolta' di una via sta dichiarando che e' migliore di un altro arrampicatore. E' una pratica vecchia quanto il mondo. Se un arrampicatore dice che una via e' 5.9 e un altro dice che e' 5.10, allora il prima arrampicatore dovra' essere migliore. Questo e' un esempio di competitivita' individuale in arrampicata. L' onore del gruppo, o istinto del branco, si manifesta la dove un' intera area viene sottogradata. Gli arrampicatori qui sono migliori di quelli in un altro posto, perche' le vie qui sono gradate in modo piu' severo. Alcune vie in certe aree sono gradate 5.10 o 5.10+ sebben siano state salite una volta o due, dopo innumerevoli tentativi dai migliori arrampicatori del posto. Questo puo' essere il risultato o di un grave errore di valutazione o un Io strabordante ("ego-trip"). La motivazione principale dietro la sottogradazione e' la protezione della propria immagine. Evitare la vergogna di vedere una propria via sottogradata. Sii il primo a sottogradare e sarai salvo. Questo tipo di atteggiamento finisce per imbrogliare gli stessi artefici. Gradare il singolo movimento e' una conseguenza di questa sindrome. Non ha senso dividere un tiro in movimenti individuali e dare il grado al movimento piu' duro. Trenta metri (cento piedi) di lieback con nessun movimento sopra il 5.9, ma nessuno sotto il 5.8 , con nessun riposo, non sono un tiro da 5.9!
Al momento 5.10 e 5.11 sono tra i gradi piu' bistrattati. Questo perche' sono tra i gradi piu' prestigiosi e piu' dipendenti dalle conformazioni anatomiche dell' arrampicatore. Poiche' gli arrampicatori tendono a preferire un tipo di arrampicata rispetto ad un altra, un arrampicatore abituato alle fessure per esempio sara' piu' propenso a pensare che l' arrampicata in fessura e' meno difficile di quello che in realta' e'. La pratica perfeziona le cose e le rende piu' semplici.
L' unica soluzione equa a questo problema e' una gradazione basata su un confronto fra vie. Le vie, a differenza degli arrampicatori, non cambiano molto. Un arrampicatore che progredisce in forma fisica, in fiducia in se stesso, e abilita' tecnica, avra' la tendenza a sottogradare. Dovrebbe ritornare su vie gia' gradate per un confronto di gradazione. Un uso criminoso del sistema di gradazione era una pratica comune la scorsa stagione a Yosemite. Sembrava quasi una moda. Vie che una persona non riusciva a salire in primavera diventavano 5.8+ in autunno. Altre vie venivano considerate non troppo difficili, anche quando venivano salite dopo diversi tentativi, cadute o riposi sulle protezioni. In alcune casi le vie non erano "troppo difficili" ("too bad" nell' articolo) anche quando l' arrampicatore non era risuscito a salirle. Alcuni avevano sottogradato una via dopo la quarta o quinta salita, anche se avevano fallito il primo tentativo. Ancora una volta, le cose si perfezionano con la pratica. Personalmente non penso che gli arrampicatori con questo atteggiamento siano sinceri con la comunita' e con se stessi. Acune vie sono diventate piu' semplici per un buco causato da un chiodo (pin scare), una lastra rotta o la presenza di un chiodo. I primi due casi sono modificazioni permanenti e possono richiedere un cambio del grado. Un chiodo su una via che richeda movimenti continui e di resistenza rende la via piu' facile. C'e' una grande differenza tra piazzare un chiodo in una posizione difficle e semplicemente moschettonarne uno gia' presente. Alcune vie hanno una storia di salite coraggiose e classiche. L' uso dei chiodi o di altri marchingegni della tecnica fa diminuire il valore di alcune linee, se paragonante alle prime e piu' estetiche salite. Gli arrampicatori dovrebbero sentire l' obbligo morale di mantenere la tradizione della prima salita. Questo e' particolarmente vero su vie come Twilight Zone. Il grado su tali vie dipende dallo stile in cui si sale, stile che di conseguenza determina il fattore mentale. Salire una vie senza martello con quindici nuts e decisamente diverso dal salire la stessa via con martello e trenta chiodi.

Segue poi una parte di descrizione e confronti fra varie vie, che ho pensato non aggiungesse molto al lettore italiano... e che per pigrizia per ora non ho tradotto.

mercoledì 2 novembre 2011

Indian Creek

Indian Creek. Guidando sulla statale 211 rimarrete senza
fiato di fronte alla sterminata distesa del canyon

Il sole sorge piano alla mia sinistra ma basta la poca luce dell' alba a fare splendere il bianco e il giallo del deserto. La strada e' una striscia nera, dritta verso sud, unico segno di civilta' e tempi moderni in mezzo alla radura. Potrebbero apparire gli indiani da un momento all' altro e non ne sarei stupito. Dopo dodici ore di guida sarebbe un diversivo alla noia della guida in solitaria. A tenermi sveglio una dosa massiccia di caffe, redbull e l' eccitazione di arrampicare ad Indian Creek.
Dopo quindici ore entro finalmente nel canyon e lo stupore per la bellezza che mi circonda quasi rischia di farmi uscire fuori strada. Giungo al posto dell' appuntamento mentre nello stesso momento arrivano i miei tre amici, due dal Sud della California e uno dal Colorado. In un' epoca di messaggini al telefono, rinunce all' ultimo minuto, continue chiamate al telefono anche per una semplice cena, un tale sincronismo mi mette subito di buon umore. Non ci siamo mai sentiti al telefono per dettagli e tutto e' stato deciso con due email, una settimana prima.

Io ho solo tre giorni, ma per una volta non apro nemmeno la guida, sicuro che ogni falesia e via sapra' ripagarmi del viaggio. Seguo i miei compagni nelle loro scelte e mi godo cosi' tra le piu' belle salite a vista della mia vita. Fessure parallele perfette e una roccia di arenaria rossa, liscia e senza appigli o tacche per i piedi. Tutto si gioca con pochi gesti e movimenti, ripetuti quaranta, cinquanta volte fino ad arrivare alla fine di ogni via. Basta respirare piano, prendere il ritmo e imparare a sentire una roccia che quasi sembra velluto. Il canyon e' una infinita distesa e sono forse migliaia le vie ancora inesplorate dentro le zone piu' remote e interne. Per chi ama gli strabiombi a canne o muri verticali a tacche, Indian Creek non e' il posto giusto... ma se anche per una sola volta siete stati affascinati dall' arrampicata in fessura, questo e' il posto dove prima o poi dovrete andare. La sola bellezza del paesaggi, i colori delle rocce, i profumi dei pochi cespugli, il cielo del deserto ripagheranno del viaggio in questo posto cosi' remoto.

Domenica sera ci lasciamo con Mike al distributore di benzina a Moab. Scherziamo sulle notre doti logistiche e sul tempismo perfetto del nostro incontro di Venerdi mattina. Ci siamo dati appuntamento per il prossimo anno in Alaska, per salire il "Cobra Pillar", ma magari un paio di chiamate al telefono in quel caso saranno pure necessarie...


Nota finale: la mia auto, risuscitata dalle sapienti mani di un meccanico (di quelli del tempo prima dell' elettronica), ce l' ha fatta a fare le duemila miglia del viaggio. Forse sara' l' ultimo pero'.
Nota tecnica: a Indian Creek non ci sono vie sotto il 5.10 e secondo me, pure per gli standard Americani, alcune gradazioni vanno prese con cautela.



Avvicinamento al Piston Whipped Wall. Ho dovuto usare il sacco da big wall
per trasportare sei serie complete di camelot.



Scelta del materiale, elemento cruciale su queste vie senza
o con pochi riposi. Qui mi preparo a salire la mia prima via
"No Name Crack" (5.10+) a Supercrack Buttress.
Via molto lunga con due sezioni large.
Avro'
abbastanza pezzi della stessa misura?



Colazione al campo base. Trovate di meglio?


Fin Wall. Tim sale una delle innumerevoli fessure
(Crapuccino 5.10+).
Sullo sfondo si vede chiaro il Wing gate.

domenica 16 ottobre 2011

Sul cinismo e sulle proiezioni ortogonali della pasta




Gli anni dell' Universita' sono spesso idealizzati nella mente di molti come un' epoca d' oro, di grande divertimento e frizzante vita sociale, come se poi, finita la scuola, la vita non avesse piu' da offrire momenti di allegria. A me vengono i brividi a pensare di tornare all' Universita'. La sola idea di un salto temporale che mi riporti a rivere quel capitolo della mia vita mi incute ansia e terrore. Non che non mi sia divertito, anzi. Ma insieme ai momenti di allegria, alle amicizie, ai momenti di genuina spensieratezza c'era un carico di stress e miserie umane, che solo la vita da studente universitario sa dare. Guy Debord nel suo magnifico opuscolo "Miseria della condizione studentesca" con poche frasi riesce a dipingere in modo magistrale tutte le ragione per cui io non tornerei indietro nel tempo. Ancora oggi, nelle rare visite a Pisa, ogni volta che passo di fronte alle aule, un senso di nostalgia si mischia ad una non tanto sottile ansia.
I primi mesi di lezioni furono quelli con impatto psicologico piu' profondo, risvegliandomi da un torpore intellettuale in cui ero vissuto inconsapevolmente per tutti gli anni del liceo. Fu una terapia d'urto, sovrastato com'ero dalla mole di nozioni e circondato spesso da persone che sembravano avere capito tutto e di piu' ( in seguito capii che alcune di queste mentivano, ma questa e' un' altra storia...). Come in ogni circolo umano o animale, esisteva infatti anche li una piramide sociale, basata questa volta sul sapere presunto o sbandierato. Io non ero di certo al vertice, ma nemmeno nel fondo. Chi stava al vertice, godeva a fare sentire gli altri se non proprio stupidi, almeno lenti di comprendonio. Siccome le nozioni di cui potevo fare sfoggio erano limitate, capii che una cosa divertente da fare era dare informazioni sbagliate ai meno fortunati alla base, giusto per vedere il panico o il loro disorientamento. Intendiamoci, si trattava di piccole bugie, come sostenere di avere capito tutto, di avere gia' letto tutti gli appunti o di ritenere banale una certa dimostrazione.

Un giorno uno degli insegnanti ci propino' un problema che all' epoca sembrava un po' fuori contesto, tale da scatenare il panico in molti dei presenti. Si trattava di capire come la posizione di una mosca sarebbe cambiata, se la mosca fosse rimasta intrappolata in un foglio di pasta per la lasagna. A piegare e ristirare la pasta, la mosca avrebbe cambiato posizione, come puo' ben sapere chiunque abbia tirato una sfoglia.
Alla fine dell' ora, uno dei disperati al fondo della piramide usci' dell' aula in cerca di conforto umano. Uno dei presenti (famoso per il suo cinismo e umorismo tagliente) gli disse di non preoccuparsi, che la soluzione era comprare il libro scritto da P.M. "Le proiezioni ortogonali della pasta", in vendita nelle migliori librerie. In un' epoca senza Internet, il poveretto passo' il pomeriggio a cercare il libro, ovviamente senza trovarlo e disperandosi ancora di piu'.

Questo episodio di micro cinismo, sarebbe stato sepolto nelle pieghe delle mia labile memoria, se non fosse stato per un regalo ricevuto qualche giorno. Quando Dennis e Claire si sono presentati con il libro "The Geometry of Pasta", tutti quei ricordi sono sbucati fuori.
Ovviamente, con mio grande disappunto, il problema della mosca non viene trattato. Si trovano pero' ricette e un po' di storia della pasta. Alcune parti per un Italiano sono ovvie, ma gli gli Americani fanno sempre fatica a capire che non si puo' fare la carbonara con i ditalini rigati...

lunedì 10 ottobre 2011

Di addii, auto ed emissioni



Dopo tre anni e mezzo di onorato servizio, pare che la vecchia Camry non ne voglia sapere di ripartire. Sta li, di fronte al mio garage e fino ad ora nessuno dei tentativi fatti sembra riportare la vita nel motore.
L' impianto elettrico e' sempre stato il suo punto debole. Piu' di una volta ho vissuto momenti di panico in mezzo a neve, deserto o radure spopolate, nel tentativo di "fare contatto", fare in modo che i sensori che controllano il motore di avviamento funzionassero. La mossa segreta per ripartire era stata scoperta da Antonio, durante un viaggio a Bishop. La macchina non voleva ripartire e noi iniziammo a toccare tutti i possibili pomelli e bottoni, chiudere e aprire le porte, nel tentativo di trovare la giusta combinazione di contatti elettrici. Spendemmo due ore di puro delirio sulla statale 395. Ad un certo punto chiesi ad Antonio di scendere dalla macchina e mettersi nella stessa posizione in cui si trovava l' ultima volta in cui eravamo riusciti a ripartire. Lui mi rispose "Si, ma in quel momento stavamo mangiando dei donuts", come se avesse una qualche rilevanza. Alla fine Antonio capi' che bisognava sfiorare gentilmente il cambio nel mentre si girava la chiave.

Pagata mille e cento dollari, la macchina mi ha portato in giro per migliaia di chilometri, diventando di fatto parte della mia attrezzatura per la vita all' aria aperta. Dall' Oregon al Sud della California, e' stata un po' macchina e un po' appoggio logistico per dormire e mangiare.


E cosi' ora il dilemma. Tentare l' impossibile e resuscitarla? comprarne un' altra usata?
L' idea di una macchina nuova non mi ha mai sfiorato e l' unico motivo per cui ne comprerei una sarebbe per ragioni "ambientali", per un ipocrita desiderio di "inquinare di meno". A guidare si inquina sempre e i numeri delle emissioni sono sempre spaventosi. A leggere i depliant delle auto sembra pero' che la maggior parte dei nuovi veicoli siano "green", gentili con l' ambiente e a ridotte emissioni.
Ma chi decide in fondo quando una macchina e' a bassa emissione? in Europa ci pensa l' Unione Europea. Vengono fissati dei parametri e le case automobilistiche devono rispettarli per poter avere la certificazione. Il tutto sembrerebbe nobile e giusto, se non fosse che i test per il controllo delle emissioni vengono fatti in laboratorio e non su strada. In altre parole, il motore e' testato in condizioni ideali, al banco di prova, dove i cicli del motore sono ottimizzati per rispettare gli standard imposti. Cosa succederebbe invece se i test fossero fatti su strada? La risposta sta in questo recente studio finanziato dalla UE. I risultati dei test su strada danno risultati diversi e per alcuni tipi di emissioni la differenza e' notevole. Per esempio. la differenza di emissioni di anidride carbonica e' del 21% in piu', quello di ossido di azoto del 320% (ehmmm....).

Quindi non solo il senso di colpa non deve mai abbandonarci quando guidiamo un' auto "ecologica" ma dobbiamo pure ricordarci che in fondo queste definizioni sono arbritrie e soggette alla volonta' politica del momento. Dal Lunedi al Venerdi io uso solo la bici e rimpiango ancora i tempi in cui riuscivo ad andare ad arrampicare senza prendere l' auto...


Nota: ecco l' abstract dell' articolo.

"For obtaining type approval in the European Union, light-duty vehicles have to comply with emission limits during standardized laboratory emissions testing. Although emission limits have become more stringent in past decades, light-duty vehicles remain an important source of nitrogen oxides and carbon monoxide emissions in Europe. Furthermore, persisting air quality problems in many urban areas suggest that laboratory emissions testing may not accurately capture the on-road emissions of light-duty vehicles. To address this issue, we conduct the first comprehensive on-road emissions test of light-duty vehicles with state-of-the-art Portable Emission Measurement Systems. We find that nitrogen oxides emissions of gasoline vehicles as well as carbon monoxide and total hydrocarbon emissions of both diesel and gasoline vehicles generally remain below the respective emission limits. By contrast, nitrogen oxides emissions of diesel vehicles (0.93 ± 0.39 grams per kilometer [g/km]), including modern Euro 5 diesel vehicles (0.62 ± 0.19 g/km), exceed emission limits by 320 ± 90%. On-road carbon dioxide emissions surpass laboratory emission levels by 21 ± 9%, suggesting that the current laboratory emissions testing fails to accurately capture the on-road emissions of light-duty vehicles. Our findings provide the empirical foundation for the European Commission to establish a complementary emissions test procedure for light-duty vehicles. This procedure could be implemented together with more stringent Euro 6 emission limits in 2014. The envisaged measures should improve urban air quality and provide incentive for innovation in the automotive industry."

lunedì 3 ottobre 2011

Gogna e l' accesso alla montagna

Segnalo un articolo di Alessandro Gogna, pubblicato su lo Scarpone di Settembre.
Non avendo l' articolo originale, vi mando al post di Beppe, in cui ho scritto due righe su cosa penso a riguardo.

Tutta questa storia del controllo, della sicurezza e della regole per vivere all' aria aperta, non poteva non riportare alla memoria una citazione dotta, che spero qualcuno dei miei sette lettori riesca a riconoscere...

"What's the matter with you guys? This was never about the money, this was about us against the system. That system that kills the human spirit. We stand for something. We are here to show those guys that are inching their way on the freeways in their metal coffins that the human spirit is still alive."

Traduzione: "Quale il e' il vostro problema? non e' mai stata una questione di denaro, eravamo noi contro il sistema. Quel sistema che uccide lo spirito dell' uomo. Noi combattiamo per qualcosa. Noi siamo qui per dimostrare a quelle persone sulle autostrade nelle loro bare di metallo che lo spirito dell' uomo e' ancora vivo."

sabato 1 ottobre 2011

Al di la delle montagne




"Al di la delle montagna, l' uomo" e' la frase di Walter Bonatti, che apre il libro scritto da Steve House sulla sua carriera di alpinista, i suoi successi, fallimenti e sacrifici per diventare uno dei migliore alpinisti di sempre.
Steve House scrive con una prosa magistrale, ben lontana dallo stile spesso aggressivo e arrogante che caratterizza i libri del suo mentore e compagno di cordata, Mark Twight. Durante un' uscita in montagna, avevo barattato questo libro con il mio compagno di tenda in cambio di una copia di Kiss or Kill, di M. Twight. Sbagliando, mi aspettavo la stessa scrittura punk, lo stesso aproccio rabbioso nei confronti dell' universo mondo. Lo stile e il tono sono invece ben diversi, benche' si ritrovi la stessa esaltazione per la fatica, la sofferenza fisica e un sana attudine elitistica. House riesce a tenervi incollati al libro, mentre descrive una sua salita in solitaria, un tiro duro di ghiaccio o la sofferenza estrema a ottomila metri. In una epoca in un cui il meglio che si puo' tirare fuori da un climber professionista e' spesso "Sick Bro', that was awesome!", House svetta anche come scrittore.

House racconta un periodo di tempo che va dalle sue prime esperienze in Slovenia sul Triglav durante uno scambio culturale fino alla sua salita in stile alpino del Nanga Parbat con Vince Anderson. Sono numerosi i flash back e i salti temporali ma il Nanga Parbat e' lo spettro di una ossesione sempre presente nel libro, fino al successo finale.
Anche per chi non ama la sofferenza in montagna, il libro e' una lettura di grande ispirazione.
Un vero inno alla dedizione, al perseguimento dei sogni con energia e tenacia, alla ricerca di legami umani con cui vincere avversita' e paure. House descrive appunto l' uomo, i suoi demoni, paure, ossessioni e momenti di ealtazione quasi mistica. Al di la dei gradi e dell' obbiettivo finale, e' l' uomo e' cio' che rimane dopo una salita, con la sua capacita' di darsi sempre nuovi obbiettivi e la forza di portarli a termine.


Nota: non credo che il libro sia stato ancora stampato in Italiano. Ho controllato il catalogo di VersanteSud, una delle poche case editrici che ancora si sobbarca la fatica di tradurre e pubblicare libri di montagna, ma non c'e traccia del libro...

lunedì 19 settembre 2011

Viva la "Vecchia Scuola"





"Damn it ! This is really Old School!.... I Don't think I'm Old School enough for it"


Mi ritrovo a cercare nell' imbrago una protezione della misura giusta. E' la terza volta in mezzo minuto che ripeto questo inutile gesto. E' una di quei movimenti dettati dallo stress o panico. Un po' come smagnesarsi le mani in continuazione. Il problema e' che so gia' che nell' imbrago non ho niente per proteggere la fessura in cui ho incastrato il ginocchio sinistro, unica cosa tra me e una decina buona di metri di volo. Non e' il volo, ma e' l' atterraggio su un terrazino sotto a preoccuparmi. Portare protezioni fino a tre pollici diceva la guida, scritta forse alla fine degli anni ottanta. Avrei bisogno almeno di una da cinque...Ci sara' stato un motivo se la via "5.9 Old School" non era nelle edizioni aggiornate. Non so nemmeno se siamo sula via giusta, tanto vaga era la descrizione sulla guida.
Mi accorgo che sto entrando in "Panic Mode" e ondate di pensieri inutili stanno iniziando ad intasare il sistema centrale. Inizio a cercare disperatamente una tacca da strizzare e tentare l' impossible... salire in stile "sport climber" . Dopo anni a cercare di imparare le geometrie di incastro piu' varie, sto regredendo allo stato di topo da falesia e sto sognando la "reglette". Maledico la "Old School", le loro dannate fessure larghe, la loro maestria nel salire senza mettere protezioni, perche' tanto nelle off-with o nei camini e' impossibile cadere. Melo ripeto mentalmente ogni volta che cerco di spostare il peso e sento la gravita' che mi tira giu'. Dopo dieci minuti di inutile spreco di energia mentali, mentre sto ancora con il mio ginocchio dentro la fessura, nel turbinio di pensieri inutili mi viene in mente che la notte prima ho rischiato una multa di trecento dollari perche' dormivo su un posto non autorizzato. Il ranger mi ha graziato, non so nemmeno per quale ragione. Al pensiero del rischio corso, la mia taccagneria risveglia un meccanismo di difesa e avviene il miracolo!

Capisco allora che tutta la gamma di emozioni che mi stanno passando per la testa, sono io ad averle cercate. Sono io che ho guidato cento ottanta miglia di notte, che ho fatto due ore di approccio, che ho rischiato la multa esattamente per essere qui ed ora. Questo semplice pensiero mi aiuta a rimettermi in asse. Se trenta anni fa ci sono passati senza scarpette, senza imbrago e senza una corda elastica, allora posso passare anche io. Infilo tutto il braccio dentro la fessura, il gomito e palmo della mano a formare un arm bar. Premo e sento che tiene. Sollevo il ginocchio. Ripeto il movimento quattro-cinque volte finche' non riesco a trovare un incastro per tutto il pugno. Il resto del tiro va via veloce. In sosta i miei sentimenti per la "Old School" sono ormai cambiati. Sento un senso di riconoscenza per quei visionari che, con pochi mezzi, hanno creato dei veri gioielli su roccia. Lasciando intatto, o almeno in gran parte immutato, il senso dell' avventura e della sfida per le generazioni future.



(Nella foto Chuck Pratt. La foto e' stata scattata da Doug Robinson nel 1967, e' presa da www.supertopo.com. E' un mirabile esempio, ad Indian Creek, dello stile dell' epoca. )

venerdì 2 settembre 2011

Where men win glory




"Non per un palmo di terra abbiamo sacrificato le nostre giovani vite, ma per un piu' alto ideale di liberta' e giustizia... e ci hanno fregato" (E. Lussu)


Where men win glory: the odyssey of Pat Tillman. (  Dove gli uomini diventano eroi: l' odissea di Pat Tilman) e' il titolo del libro di John Krakauer dedicato a Pat Tillman, giovane ventenne americano morto in battaglia in Afganistan nel' Aprile del 2004. Pat Tillman era un giocatore di football professionista con una carriera di successo. Decide di arruolarsi nel Rangers dell' esercito americano dopo l 'attacco alle torri gemelle, rinunciando ad un ingaggio di circa quattro milioni di dollari con i Cardinals e dopo pochi mesi dal suo matrimonio.  Dopo un periodo in Iraq, viene mandato in Afganistan dove viene ucciso da "fuoco amico" durante una battaglia.

Ci sarebbero tutti gli stereotipi per una storia patriotica americana: l' undici settembre, il giovane atleta, l' eroe in battaglia. E con questi pregiudizi avevo anche iniziato a leggere il libro, meravigliato che Krakauer avesse scelto un simile soggetto per una inchiesta... Ovviamente mi sbavagliavo. Tillman e' tutto fuorche' un eroe unidimensionale, da cartolina patriottarda.
Cresciuto in una famiglia liberale, appassionato di politica e letteratura, ateo e fortemente critico della cultura "da caserma" e del militarismo. Si arruola nei corpi speciali dell' esercito pensando che sia la cosa giusta da fare, come contributo di riconoscenza per la sua nazione o meglio per quei valori di liberta' e giustiza che pensa siano alla base degli Stati Uniti. Tilmann era un uomo di azione e non sopportava i vuoti discorsi di molti suoi colleghi sul supporto alle truppe... pensa cosi' che arruolarsi sia l' unico modo per tenere fede alla sua visione della vita e al suo senso dell' onore. Si accorge pero'  dell' inganno gia' dopo poche ora in caserma e l' invasione dell' Iraq non fara' che crescere il suo criticismo all' amministrazione Bush.  Amministrazione che cerchera', fino dopo la morte di Tillman, di usarlo come arma di propaganda a favore della guerra, nascondendo alla famiglia e a tutta la nazione le dinamiche della suo decesso e dichiarandolo morto per mano dei talebani...

Krakauer fa ampio uso di parti del diaro personale di Tilmann e di tutta la documentazione ufficiale desegretata solo negli ultimi tre anni. Ne esce un ritratto toccante di  un giovane uomo, il dramma della nazione Afgana e tutto lo squallore morale del potere politico a Washington.
A dieci dall' undici Settembre, un libro da leggere come antidoto contro tutte le vuote parole sulla guerra al terrore e sui valori occidentali...




martedì 2 agosto 2011

Pioggia e Pace sul Drug Dome


OZ (5.10d), Drug Dome. Tuolumne Meadow.

(o in italiano: "Il montarozzo della Droga")


La tempesta si avvicina veloce. Grido a Tim che puo' salire. Lui smonta rapidamente la sosta e inizia ad arrampicare. Mentre lo recupero, guardo i tiri del traverso alla mia destra. Una voce dentro la testa mi dice di continuare ad arrampicare "possiamo battere la tempesta e uscire prima che scarichi". Vedo la massa di nuvole nere e lampi all' orizzonte. Forse l' idea di continuare sotto la pioggia non e' proprio saggia.


Tempesta all' orizzonte.


Sarebbero pero' solo quattro tiri, di cui due facili. Faccio due conti: venti minuti in media per tiro, ottanta minuti in tutto... forse sono troppi. Scatto nel frattempo un paio di foto mentre nella testa cresce il dilemma da fine settimana arrampicatorio: spremere ogni secondo o piegarsi al meteo, alla stanchezza o agli imprevisti di ogni sorta. Questa sarebbe la seconda volta che dovrei rinunciare, ma forse fa parte del gioco.

Tim sale il terzo tiro

Tim arriva in sosta ed inizia a piovere sul serio. Non dice niente, lo metto in sicura e parte subito per l'uscita facile a sinistra. Scompare subito dietro l' angolo e io rimango appeso alla sosta sotto la pioggia. Nonostante tutto, mi sto divertendo. C'e' un senso di pace a stare nel mezzo di questo grande muro di granito, con intorno le foreste scure di pioggia. Il diedro sotto i miei piedi e' verticale, quasi tagliato con il laser e nell' ultima sezione strapiomba un poco. Salirlo e' stato un puro piacere. Sono proprio contento che Tim me lo abbia lasciato senza nemmeno fare pari o dispari per averlo. Mi sa che gli devo una birra per questo....

Sul terzo tiro. Nella foto il diedro appare quasi appoggiato.

Sento i due strattoni, Tim e' arrivato. Parto subito e la roccia e' ormai completamente bagnata. Arrivo in sosta fradicio. E' stata una buona idea uscire a sinistra. Scendiamo in fretta e camminiamo a tratti in mezzo alla neve ancora alta, lascito di un inverno lungo e di una estate che non vuole essere vera estate.

Discesa della via. Ricordate: calarsi in doppia e' cattivo stile!

Arrivati alla macchina Tim ride e mi dice "anni fa avrei arrampicato sotto la pioggia... significa che sto maturando! ". Viva la maturita' allora... eppero' il traverso...

lunedì 1 agosto 2011

Svizzera-USA-Sardegna-Senegal



Il caro OZ mi scrive dalla Svizzera (ma lui svizzero non e' ) per darmi notizie sulla cronaca Napoletana e su storie di migranti che accadono in Sardegna, a Sennori.
Cortocircuiti da globalizzazione o casualita' dell' immigrazione.
Io l' articolo originale -apparso sul Venerdi' - non l' ho potuto leggere. Pero' mi ha dato allegria e speranza sapere che uno "straniero" abbia trovato "pancia e tranquillita' " (per citare l' autore del pezzo) a Sennori, in Sardegna. Ogni tanto la mia vena regionalista viene fuori e ho pensato che in questo caso fosse una bella storia da far circolare.

mercoledì 27 luglio 2011

Massi


Ogni tanto mi diletto a salire sui massi, per il puro piacere del gesto e per godere dell' aspetto sociale del bouldering. In fondo poi, molte vie su granito (in Yosemite in particolare) si risolvono con uno o due passaggi di boulder secchi. Avere un po' di gesti nel repertorio non guasta mai.

Settimane fa Owen e Jamie mi invitarono ad esplorare con loro una nuova zona, nei pressi di lake Tahoe. Il caldo era soffocante e tutti i blocchi erano circondati da mini foreste di manzanita. Nonostante tutto fu una giornata divertente e rilassante, senza stress da prestazione. Muoversi su rocce cercando il movimento piu' duro, con il lusso di rimanere seduti per terra se le energie vengono meno.
Lascio qui il link al blog di Owen, che con certosina pazienza sta pulendo i blocchi, segnando il sentiero e preparando relazioni. Magari se passate da quelle parte vale la pena fermarsi... un sacco di blocchi (duri, dal V7 in su...) aspettano una prima salita.


Nella foto io sto salendo una facile fessura (5.10.a circa, V0 scala boulder) di circa sette metri. Da notare la postura di Owen, da paratore pronto e attento...

martedì 19 luglio 2011

Sospeso




Circa un mese fa, passando di fronte ad un libreria, sentii l' impulso di entrare e
comprare una copia dell' Odissea di Omero. I libri sono gli unici oggetti che compro seguendo l'istinto, senza dovere passare attraverso i lunghi processi di analisi e ponderazione che precedono ogni mio altro acquisto (tu chiamala se vuoi decrescita o taccagneria...).
Quel gesto, nato da una bulimia letteraria, sembrava non avere un senso preciso. Mi ero pero' scordato che i libri sono oggetti animati che ti cercano e si fanno spesso trovare nel luogo giusto e al momento giusto. Quante volte mi e' capitato di finire la lettura di un libro scelto a caso e rimanere meravigliato da come si incastrasse bene con le emozioni, le esperienze di quel momento della mia vita. Si potrebbe obbiettare che la connessione ci fosse fin dall' inizio, ma era nascosta nelle pieghe del mio inconscio... ma io ho un' anima semplice e preferisco pensare ai libri come dotati di vita loro.

Cosi' a leggere di Ulisse sperso nel Mediterraneo, ho poi capito che il libro non era una scelta casuale. Cercavo nei versi quel senso di straniamento e sospensione che nasce dal vivere in terre straniere. Il desiderio del ritorno si scontra con una chiara consapevolezza dei difetti e delle storture di cio' che si e' lasciato. La volonta' di esplorare e rimanere lontani e' frenata dal pensiero , sempre presente e forse idealizzato, del posto che si continua a chiamare casa. Rimango cosi' sospeso tra due mondi, non so se sia un bene o un male. Cerco di prendere il meglio da entrambi e di esercitare una infinita pazienza con tutte le persone, spesso sconosciute, a cui devo spiegare (come un mantra almeno un paio di volte alla settimana) da dove vengo e fino a che punto debbano considerarmi straniero...

martedì 5 luglio 2011

Sulla scelta dei compagni


Da anni continuo a pensare che la corda sia capace di trasmettere impulsi e vibrazioni psichici, in grado di connettere su un livello diverso le due persone che arrampicano insieme. Il piu' delle volte il modo in cui scalo e le sensazione che riesco a trarrre dall' arrampicata dipendono da chi mi fa sicura. Per uno sport individuale come l'arrampicata, la cosa ha poco senso. O ti tieni o non tieni, direbbe qualcuno. in realta' la cosa non e' cosi' ovvia. C'e' tutto un universo di caratteri umani, un sottobosco di individui affetti dalle piu' svariate paturnie e sindromi, tali da rendere l' arrampicata un enorme laboratorio di psicologia sociale. E qualcosa di piu' di uno sport individuale.


Compagni Ideali. Sono quelle persone che hanno un genuino piacere ad arrampicare con voi, a scegliere insieme una via o un progetto. Sono quelle persone che vi danno ispirazione per un nuovo viaggio, per una nuova avventura. Sanno quando stare zitti e quando parlare. Sanno dividersi fatiche e piaceri dell' arrampicata. Soprattutto potete sapere da subito fino a dove potrete spingervi, divertendovi. Da coltivare e preservare con cura, vista la loro rarita'.

Ossessivi. Hanno un progetto in testa e voi siete uno strumento, al pari della corda o del gri-gri. Se i vostri interessi collimano, allora ci si potra' divertire insieme. Tutto e' finalizzato alla loro realizzazione. Si scrivono sulla relazione i tiri che vorranno fare da primi, l' ordine con cui verranno fatte le vie. Ogni cambio di programma genera tensione e una stato di nervosismo difficilmente riconciliabile. Sono le persone ideali per realizzare un progetto condiviso, vista la caparbieta' ossessiva. Non aspettatevi pero' nessun supporto morale o incoraggiamento: di solito godono a vedervi fallire.


Bari. Hanno una loro idea, ma non la svelano fino all' ultimo momento. Vi imbrogliano vendendovi un progetto di viaggio o uscita in un posto e solo all' ultimo momento, quando siete seduti in macchina nel sedile del passeggero, vi dicono con fare innoquo " ... ci sarebbe pero' pure questa vietta che non e' male..." . Allora sapete che e' troppo tardi, loro sono alla guida e dovete piegarvi al fato. Sono compagni ideali per quei giorni in cui siete pronti a tutto o non avete le idee chiare. Controindicazioni: con la menzogna, possono portarvi su vie pericolose che altrimenti vi sareste rifiutati di fare.


Bugiardi innoqui. Hanno salito vie di misto duro sulle Alpi, fatto Zodiac in un giorno, sanno descrivervi ogni tiro di Astroman. All' attacco della vie manifestano invece sempre sintomi misteriosi che non gli permettono di andare da primi, di essere in forma quel giorno. Non vi rimane che trascinarveli dietro, sperando che non appartengano al genere loquace che parla in sosta e vi dice "...magari lo avrei potuto fare da primo..." quando li recuperate dopo un tiro in cui vela siete fatta nell'imbrago. Possono essere anche compagni piacevoli, una volta catalogati.

Bugiardi pericolosi. Sanno mentire bene e vi fregano, portandovi su vie mortali che pensate saranno in grado di dominare, perche' li considerate di buon livello, persone addirittura da cui imparare qualcosa. Vi hanno detto di avere salito linee che voi manco guardate nella guida. Scoprite poi con terrore che non sanno usare un cava nut. Di solito sono relazioni effimere, una via, una salita e mai piu' insieme. Da temere come le tempeste in montagna.

Mendicanti. Categoria generica, a cui io stesso appartengo. Possono essere top climber o subumani. Tutti almeno una volta lo siamo stati. Sono quelli che chiamano il venerdi pomeriggio, perche' non hanno trovato nessuno per il fine settimana. Venderebbero un litro di sangue per fare qualcosa, qualsiasi cosa. Vi offrono di guidare, di portare il materiale, di offrirvi pure una birra. Se si e' fortunati, sono ottimi compagni perche' vivono con gioia la scalata insieme, che considerano come un dono improvviso dal cielo. Lo stadio successivo (e io l' ho fatto piu' volte) e' quello di presentarsi direttamente sul posto o aggirarsi nel campeggio, tendendo dei veri agguati ai gruppi dispari di arrampicatori "siete dispari? vi serve un compagno?" . Una volta superato l' imbarazzo iniziale, pure i gruppi pari vanno bene.


Cani morti. Aspetto complementare dei mendicanti. Il termine e' stato coniato da qualcun altro (che non ricordo), ma credo renda bene l'idea. Sono le persone al fondo delle lista dei contatti, quelli che di solito non vorreste avere come compagni per svariati motivi: logorroici, inaffidabili, pericolosi, lenti. Sono l' alternativa all' autoassicurazione con il gri-gri o l' ultima riserva a cui attingere per non passare il fine settimana a fare trazioni alla sbarra. Li chiamate ma rimpiangiete di averlo fatto gia' dopo il primo tiro. Pensate che non lo farete mai piu', fino al prossimo venerdi pomeriggio di disperazione.


Ovviamente esiste un mondo sterminato di possibilita', di incroci fra i vari caratteri, tale da rendere l' arrampicata un mondo piuttosto complesso di relazioni umane e patologie psichiatriche...

sabato 18 giugno 2011

Quarto Livello




"Il quarto livello" e' un libro inchiesta scritto da Maurizio Torrealta, sui rapporti tra alcuni organi dello Stato Italiano e la mafia intercorsi tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni novanta. Il libro prende spunto da una lista di dodici (piu' uno) nomi che Vito Ciancimino (ex sindaco di Palermo, membro di Gladio, uomo cardine tra polica e mafia) invio' a se stesso nel 1990. La lista, a detto di Ciancimino, includerebbe i nomi di uomini delle istituzione appartenenti al Quarto Livello, una struttura trasversale al di sopra della politica e della criminalita', che avrebbe gestito e indirizzato i rapporti tra mafia, servizi segreti, istituzioni della Repubblica allo scopo di perseguire e difendere "la ragion di Stato".
Benche' sia un amante dei libri noir e dei racconti di fantapolitica, avevo acquistato il libro con un certo scettiscismo, consapevole che tirare in causa livelli occulti e' un modo spesso semplice per non spiegare e affrontare i problemi, per non arrivare mai ad una analisi dei fatti.
Nella introduzione del libro curata dal magistrato Antonio Ingroia (sostituto procuratore di Palermo) si ricorda che Falcone stesso non amava usare il termine "Terzo Livello", ad indicare quella parte della politica al serivizio della mafia. Falcone infatti sosteneva l' indipendenza decisionale-politica della mafia e non credeva all' idea di una struttura "borghese" a cui la mafia "militare" fosse assoggettata. Figuriamoci quindi un Quarto Livello superiore alla politica e all' apparato militare della mafia.
Il libro in realta' non si spinge mai oltre la presentazione di fatti noti e provati e lascia al lettore il giudizio finale, sull' esistenza o meno di un simile livello di potere. Ogni capitolo e' dedicato alla biografia di uno dei personaggi della lista, il loro ruolo nelle istituzioni italiane e i loro rapporti con criminalita', massoneria, serivizi di informazione italiani e stranieri. Nel mezzo troviamo stralci di interviste al figlio di Vito Ciancimino, Massimo, che negli ultimi anni sta rendendo noti fatti (spesso da verificare) sui rapporti del padre con istituzioni e apparato criminale.

Ho letto il libro in un solo viaggio Milano-San Francisco, divorando le pagine con lo stesso interesse e bramosia con cui avevo letto Romanzo Criminale di Giancarlo de Cataldo. Qui pero' si parla di persone reali, di fatti veri, di un intreccio tra vari gruppi di potere talmente esteso e duraturo nel tempo da fare dubitare se l' Italia sia mai stata una vera democrazia.
Ne esce un quadro inquietante in cui il rapporto mafia-Stato ha giocato un ruolo chiave fin dai primi tentativi di golpe degli anni settanta (il golpe Borghese per esempio), per arrivare fino alle stragi degli anni novanta, passando per il crack finanziario di Sindona, l' uccisione di Ambrosoli a Milano, le guerre criminali degli anni ottanta. Terminata la lettura rimane un senso di disgusto e forte impotenza, l' impressione di essere di fronte ad un mostro a cento teste, capaci di ricrescere, mutare forma ed adattarsi con rapidita'.
Il presunto ruolo di parte di apparati delle Republica nelle stragi dei primi anni novanta, e l' uso delle stesse per una strategie piu' ampia, ci ricorda come fragile sia la democrazia in Italia e come i fantasmi di golpe e cospirazioni non siano scomparsi ma rimangano un aspetto della storia recente ( e forse pure del presente) della giovane Repubblica Italiana.

venerdì 13 maggio 2011

Fine del Mondo


Nel caso vi fosse sfuggito, segnalo che la fine del mondo e' vicina.
21 Maggio 2011 inizia il giudizio finale. Potete trovare maggiori dettagli qui

mercoledì 11 maggio 2011

Nell' etere


La decadenza dei tempi si vede anche dalla qualita' delle trasmissioni radio e tv...
Se proprio non avete niente di meglio da fare, potete ascoltare questa intervista di circa mezz'ora. Uno dei miei sogni segreti rimane quello di impossessarmi della radio e della televisione e sbraitare oscenita' o invettive per tutto il giorno. Un po' come faceva il colonno Kurz in Apocalypse Now, magari pero' con contenuti meno nazi...

Alla fine questa volta i toni dell' intervista sono stati pacati, al limite della sonnolenza. Io ho la voce quasi impastata (mi ero appena svegliato), ogni volta che rispondo ripeto in continuzione quasi come un adolescente (o uno di qui politici prolissi...) "in un certo modo..." e non e' poi che proclami verita' assolute. Chi ha fatto l' intervista ci e' andato giu' pesante con il "taglia e incolla", rimontando cio' che avevo detto con un po' di liberta' ( l' intervista e' registrata).
Alla fine pero' il tutto e' passabile. Meglio di Radio Maria direi...

giovedì 21 aprile 2011

Nel cuore della notte...


Il bisogno di andare al bagno mi sveglia in piena notte. Saranno le due circa. Cerco di ignorarlo mentre mi concentro sul solito dibattito interiore, se sia meglio trattenerla fino al mattino o uscire dal sacco a pelo, disperdendo cosi' prezioso calore. Ogni volta mi chiedo perche' nel comfort delle mure domestiche non si manifesti mai questa incontinenza notturna.
Alla fine resistere e' inutile, non si sfugge alle leggi dell' idraulica. Per pigrizia non mi infilo le scarpe e mi metto a camminare scalzo sulla neve, percorrendo la minima distanza dal giaciglio. Se avessi piazzato la tenda almeno potevo stare con i piedi asciutti e farla dentro la bottiglia. Mentre mi sforzo di fare il prima possibile, un pensiero mi passa per la testa "...che bello sarebbe avere una falesia sportiva, vicino a casa, con avvicinamento veloce, soste attrezzate e chiodatura ascellare". Il pensiero dura un istante, giusto il tempo di ritornare nel sacco a pelo e cercare di riprendere sonno, senza successo. Mentre mi rigiro e cerco di trovare la posizione meno scomoda penso che forse tutto questo non ha molto senso. A guardare la scena da fuori, si vedrebbero infatti due uomini adulti, sopra i trenta, che dormono nei sacco a pelo in mezzo alla neve, sul bordo della strada, vicino ad una macchina con la carrozzeria tenuta insieme dal nastro adesivo. I due hanno guidato di notte per quasi tre ore, per esseri freschi al mattino. Per arrampicare al meglio, almeno pensano.


Il giorno dopo, inziamo a scalare presto, tutto scorre fluido, c'e' il sole a scaldare un granito giallo e arancio mentre saliamo su una linea nuova, saremmo forse la terza cordata a ripeterla. Allora mi dimentico della macchina, del guidare e del freddo ai piedi e tutto diventa perfetto. E anche quando le gambe iniziano a muoversi come Elvis, l' ultima protezione e' lontano, quando salgo un tiro con poco nell' imbrago, "che tanto mi sembra facile" e poi ho tutte le misure sbagliate e penso che si "in fondo, uno spit poteva starci...", quando la strizza mi fa ritirare con la coda tra le gambe, anche in quei momenti mi sembra tutto grandioso.


Continuo a sognare una falesia di calcare coperta di spit, con ampio e comodo parcheggio. Ma so anche che se non fosse per le notti nel sacco a pello, la ferraglia nell'imbrago, il caffe' nel fornellino, le mani mangiate dal granito, i viaggi in macchina di notte, gli strizzoni su vie sottogradate ... il gioco che e' l' arrampicata sarebbe meno divertente.

giovedì 7 aprile 2011

Nucleare III

Segnalo video divulgativo interessante.
Rubbia espone il possibile uso del Torio come combustibile nucleare.

mercoledì 6 aprile 2011

Nucleare II

Per la serie cambi di prospettiva ( o idee confuse, scegliete voi ).
Nel precedente post mela cantavo sul bisogno di fare ricerca per investigare meglio i cicli del combustibile nucleare. La ricerca pare essere sempre cosa nobile... ma mi ero scordato di controllare quanto costa e quanto viene speso al momento.

"Of the $135.4 billion spent on energy research and development from 1948 to 2005 (in constant 2004 dollars), more than half, or $74 billion, went to nuclear energy, while fossil-fuel programs received a quarter, or $34.1 billion. The leftovers went for alternatives, with renewable getting $13 billion, or 10 percent, and energy efficiency $12 billion, according to a Congressional Research Service report written in 2006. "

meno del 20% del budget va per efficienza energetiche e fonti rinnovabili. La ricerca nucleare si prende gia' il 54% dei fondi, con risultati che non sembrano dei migliori...

Mi sa che e' il caso di rivedere il bilancio di spesa, se si vuole realmente cambiare la situazione...

www.nytimes.com/2009/03/18/opinion/18cooke.html


e il piu recente

economix.blogs.nytimes.com/2011/03/28/renewing-support-for-renewables/

domenica 3 aprile 2011

Nucleare

Tempo fa promisi di scrivere dei piccoli post sul nucleare. In effetti avevo collezionato parecchio materiale, senze pero' riuscire a riorganizzarlo in modo organico e succinto. Vinto da un misto di pigrizia e mancanza di tempo, segnalo almeno un interessante studio fatto dal MIT sul futuro dei cicli del combustibile nucleare.

Alla luce di quanto accaduto in Giappone e dopo la lettura del report interdisciplinare del MIT, mi sembra chiaro che ci siano due aspetti che remano in direzione opposta e poco conciliabile
-la tecnologia nucleare e' relativamente giovane e sono necessari ancora studi per capire come usare in modo efficiente combustibile e processari gli scarti. La ricerca costa e ha tempi lunghi.
-la necessita' di "fare soldi" subito, di produrre energia a prezzi competitivi non va d'accordo con la sicurezza e la ricerca. Considerati i costi di costruzione, gestione e sicurezza degli impianti e smantellamento poi degli stessi, al momento il nucleare non e' una tecnologia in cui investirei il mio denaro.

Se una tecnologia per la produzione di energia ha bisogno di forti sovvenzioni statali per sopravvivere, significa che non e' matura ed e' giusto che venga accantonata (almeno nei suoi aspetti commarciali) fino a che non lo diventi. Solo nei casi di ampia disponibilita' del materiale primo (uranio), vasti spazi a bassa densita' demografica, penso che il nucleare possa essere gia' da ora una possibile fonte energetica.

Carbonio profondo




Il petrolio e' un elemento centrale delle nostre esistenze. Non c'e' persona che viva nei paesi industrializzati che possa negare una dipendenza dagli idrocarburi (catene di carbonio e idrogeno, componente primaria del petrolio). Persino chi rifiuta il paradigma di trasporto basato sull' auto privata, deve piegarsi al fatto che il petrolio e' alla base di quasi tutte le produzioni industriali. Agricoltura e trasporti sono tra i settori dove questa dipendenza e' piu' accentuata. Nonostante il ruolo centrale che i composti del carbonio giocano nella nostra esistenza, abbiamo una conoscenza piuttosto scarsa del modo in cui il pianeta terra processi questo tipo di materiali. In altre parole non sappiamo molto dei cicli del carbonio, del modo cioe' in cui il carbonio e' distribuito nel pianeta e la natura ed estensione di questi giacimenti. Nessun progetto esplorativo e' andato mai sotto i 12 Km (la terra ha un raggio di 6000 Km), anche se esistono progetti di perforazione per arrire al Moho, la regione tra crosta e matello. Parecchio e' stato fatto per capire le interazioni crosta terrestre-atmosfera, ma ci sono ormai molte evidenze che il sistema Terra e' piu' complicato e scambi di sostanza tra atmosfera e mantello giochino un ruolo importante nei cicli del carbonio.

Il petrolio e' considerato un prodotto dell' effetto combinato di batteri e temperatura su materiale organico (piante e animali) che milioni di anni fa ricopriva il pianeta. Molteplici evidenze sembrano supportare questa teoria, anche se diversi punti rimangono aperti e non chiari. Una seconda formulazione considera il petrolio di origine abiogenica, cioe' derivante non da materiale organico ma dall' interazione di rocce con acqua. La teoria, formulata in URSS negli anni quaranta del secolo scorso, e' sempre stata considerata eretica e solo intorno agli anni novanta sono stati prodotti risultati scientificamente accurati che ne supportavano diversi aspetti.

Se pensiamo che metano (molecola con un solo atomo di Carbonio) e altri idrocarburi si trovano in pianeti privi di foreste o animali (Titano , Giove), non e' cosi' assurdo pensare che un meccanismo abiogenico possa avere generato una parte (seppur minima) del petrolio. Il punto centrale e' capire come, quanto e la rilevanza per scopi commerciali. Gli esperimenti ad alta pressione e temperatura (2000 gradi e 5 GPa) possono essere piuttosto complicati, cosi' simulare al computer le reazioni e' una valida alternativa. Negli ultimi due anni ho studiato come dal metano si potesse arrivare a formare catena di idrocarburi, simulando le condizioni del mantello superiore, in una zona della terra compresa tra i 30 e i 300 Km.
Il risultato finale (disponibile gratis sui Proceeding of National Academy of Science ) e' piuttosto affascinante: alle condizioni di pressione e temperatura del mantello e' possibile trasformare il metano in catena di idrocarburi. Risultato non ovvio, visto che in condizioni di pressione "normali" e sopra i 800 Kelvin, il metano tende a separarsi in idrogeno e carbonio.

Questo non significa "petrolio senza fine", ma e' un tassello importante per capire i depositi di carbonio e idrocarburi nel pianeta. Problemi aperti rimangono come questi idrocarburi possano muoversi in superfice senza decomporsi o l' interazione con rocce di natura ferrosa o in generali con ossidi. E' possibile cioe' che le catene di idrocarburi possano distruggersi durante la depressurizzazione o per interazione con ossigeno, largamente presente nel mantello. Siamo cioe' lontani dal capire l' impatto sulle reali riserve di gas e petrolio, anche se diversi studi sul campo indicano l' esistenze di depositi di natura abiogenica (per esempio i depositi turchi del "Olimpic Chimaera fire"). Una ipotesi e' per esempio il trasporto tramite fratture mantello-crosta, ipotesi pero' da verificare.

Studi del genere non salveranno la specie umana, ma aiuteranno a capire il pianeta nella sua interezza, pianeta in fondo che e' l' unico che abbiamo.

Edit: un interessante commento al lavoro si puo' trovare anche qui