Ara sa terra, massaju, ca est ora de arare...



lunedì 30 gennaio 2012

Viaggio a Bangalore

Ordinarie condizioni di traffico a Bangalore.

«Ma non ha visto che traffico c'è lì fuori?»
«Nun me ne parlate!»

Chiudo gli occhi per un secondo e l' immagine che mi appare e' quella di un grande formicaio. Un fiume di corpi e cose che si toccano, interagiscono, allontanano. Una forma ordinata di confusione, un flusso continuo in cui una rottura, un' instabilita' sembra immininente e invece poi tutto continua a muoversi. Camion contro ape car, pedoni contro auto, bici contro tutti. Palazzi di acciaio e vetro cercano di rubare il cielo a case di mattoni tirate su a forza di secchi di cemento portati sulla testa. In ogni direzione lo sguardo trova qualcosa che viene abbattuta, costruita, spostata apparentemente senza un disegno. Come se tre, quattro citta' avessero deciso di crescere sullo stesso posto, come colonie di funghi a lottare per lo stesso tronco.
Il taxi su cui viaggio e' come una macchina del tempo che vada a singhiozzo: dal finestrino lampi di modernita' si alternano a scenari di altre epoche e civilta'.
Fa caldo e il mio abito invernale non e' adatto allo stagione. Faccio fatica a processare la realta' che mi circonda, la mente e il corpo stanchi da trenta ore di viaggio. Ogni spazio intorno all' auto e' colmato all' istante da moto, persone, altre auto. Guardo catatonico dal finestrino finche' l' apparire di una mucca mi ricorda dove sono e mi infonde un senso di allegria un po' idiota. "Una mucca! una mucca!" mi ripeto. Il mio autista deve avere percepito il senso di eccitazione e divertito abbassa il finestrino per rubare al volo una foto storta e fuori fuoco.

India quindi. E' impossibile non accorgersi subito delle contraddizioni di una citta' -Bangalore- a meta' tra modernita' e passato. L' India come luogo di opposti estremi e di stridori e' spesso l' immagine stereotipata usata per descrivere una nazione vasta come un continente, seconda al mondo per numero di abitanti. Pero', pure a volere viaggiare con animo libero da preconcetti, e'  impossibile non accorgersi del ribollire di forze ed energie, della trasformazione in corso, del movimento continuo della citta', dove stanno innestati insieme secoli di storia e immagini di futuri possibili. Il PIL' dell' India cresce al ritmo del 7% l' anno, ma non so bene se la crescita sia sempre nella direzione giusta. Stime ufficiali parlano per esempio del 70% delle acque di superificie inquinate e di una fetta sostanziale della popolazione sottonutrita.
L' immagine di questa grande trasformazione in corso e' per me quella di una grande cartello pubblicitario visto in una delle vie di negozi e traffico. Un uomo e una donna dai fisici scultorei campeggiano al centro di una pubblicita' per liposuzione e chirurgia estetica. Sotto il cartello due bambini (invero piuttosto magri) stanno seduti in mezzo allo sporco e si dividono un piatto di lenticchie e riso, incuranti di tutto il resto.

Sto qui cosi in mezzo al traffico, in ritardo ormai per la mia riunione, nonostante l' ora di anticipo con cui sono voluto partire. Mi agito nel sedile, chiedo all' autista se puo' fare in fretta e lui sorride facendo oscillare la testa. A quel punto mi sento un completo idiota per aver fatto la domanda. Mi sembra di essere il milanese Cazzaniga nel film "Cosi' parlo' Bellavista" intrappolato nel traffico di Napoli... sorrido a questo pensiero, mi rilasso sul sedile e aspetto. In fondo il caos che mi circonda ha qualcosa di rigenerante che rimette a posto la mia visione del mondo, la percezione della storia e di cio' che chiamiamo progresso. A leggere i giornali in US o in Europa c'e' il rischio di convincersi di essere al centro di uno spettacolo in cui il resto del mondo e' un attore periferico, quasi una comparsa.  I rantoli di un membro del Tea Party diventano oggetto di speculazione per giorni. Si da peso ai dettagli e dichiarazioni di presunti leader, come se avessero una qualche presa sul corso degli eventi, come se contassero qualcosa.  Piccoli fastidi della vita quotiana sono esagerati e finiscono per riempire inutilmente la testa.... poi ripenso a Bangalore e al suo caos e sto gia' subito meglio.


   

martedì 24 gennaio 2012

Inchiostro

  Mentre andavo a fare la spesa mi sono fermato
nel negozio sbagliato.

Il primo me lo feci a Sassari, negli anni Novanta, in uno studio che mi dicono non esista piu'. Senza molte pretese lo scelsi da un catalogo in mostra sul bancone. Per essere una cosa che dura tutta la vita non ci misi nemmeno tanto tempo a sceglierlo, consigliato nell' operazione dal fedele Ottavio, da me  eletto in quegli anni all' arduo incarico di mentore su stile ed essere "cool" in genere. I soldi meli diede nonna Giovanna, piuttosto felice all' idea di regalarmi qualcosa che avrebbe fatto una cosi lunga durata. Un po' meno entusiasta  fu mia madre, che fini per non parlarmi per diversi giorni. Credo fosse piu'  per l' idea di essere stata scavalcata nella catena di comando, che non per la cosa in se. Rimane uno di quelli a cui sono piu' affezionato. Uno e basta, dissi a me stesso. Ma gia uscito dallo studio sapevo bene di mentire. Cosi' negli anni a seguire  ne vennero altri. Alcuni fatti con una idea in testa ed eseguiti da mani esperte (la maschera fatta da Zuma a Milano tutt'ora riceve complimenti), altri frutto di un desiderio estemporaneo e impulsivo. In un pomeriggio infernale di afa e caldo nel piatto Illinois, passai di fronte ad uno studio e dopo un'ora mi trovai come per magia sulla poltrona girevole, mentre omoni in camicia di flanella a quadri tentavano di decifrare il mio accento... sara' stato forse per quello che il lavoro non fu granche' e dovetti investire poi un bel capitale per trasformare quell' opera in una mezza manica in stile giapponese (capisco ora le parole di  Matteo che parlava di un grande progetto sulla schiena come di un dazio).  Da dove venga questa strana attrazione per l' inchiostro e' un fatto misterioso, tutt'ora per me inspiegabile. Mi consola un po'  sapere che sulla mummia trovata nelle Alpi siano stati scoperti numerosi segni sulla pelle, linee e punti. Non e' chiaro se siano il risultato di operazioni mediche, ma a me piace pensare ai primi uomini che si dilettano a coprirsi di "tribali".
Una delle cose che piu' mi affascina e' senza dubbio l' atmosfera di ogni studio. Quando ho qualche minuto libero sulla via del supermercato, mi piace fermarmi da George Hernandez (in alto nella foto) a qualche isolato da casa. Mi piace stare seduto e sentire il ronzio della macchinetta, sfogliare gli abum con le flash card, discutere del prezzo di pezzi di antiquariato degli anni cinquanta che circolano abbondanti tra un cliente ed un altro, ascoltare le storie di clienti e passanti. Una volta una guardia carceraria si mise a raccontare di una rissa in prigione finita con un morto e, mentre si faceva tatuare la madonna di Guadalupe sul petto, mostrava divertito sul suo Iphone le foto del poveretto trafitto come San Sebastiano....insomma un' umanita' varia, mai banale. 
E' pur vero che alcuni posti non rendono onore ad un arte cosi' antica, ad una tradizione millenaria dai molteplici legami con varie forme espressive. Pero' di fronte alle opere di un artista vero, credo sia molto difficile resistere alla tentazione di  comprarne una. Se avete voglia di conoscere alcuni degli artisti di spicco negli Stati Uniti (e nel mondo), vi consiglio di guardare la serie TV  "Tattoo age" (facilmente reperibile su youtube). Le biografie artistiche di Dan Santoro, Freddy Corbin, Grime, Troy Denning e Mike Rubendal sono presentate in puntate da tre episodi ciascuna (se avete fretta guardate almeno Grime e Corbin!). Concluso il primo episodio so gia' che prenderete il telefono per prenotare ansiosi la prossima seduta dal vostro tatuatore di fiducia...

   Spezzone extra: Freddy Corbin tatua gratis
   in India i giovani del posto



   

martedì 3 gennaio 2012

Perso in Giappone




Autunno. Mi dicono che sia la stagione migliore 
per visitare Kyoto. Io ci credo.

 Il problema di vivere in un paese anglofono e' che poi finisci per convincerti che tutti debbano e sappiano parlare inglese. Quando cosi' mi sono ritrovato alle nove di sera alla stazione di Kyoto, disperso in mezzo ad una folla ovviamente non anglofona e senza nessuna carta di credito funzionante, ho capito che avevo fatto qualche errore nell' organizzare o meglio nel non organizzare per niente il mio viaggio in Giappone. A pensarci ora la cosa non ha alcun senso, visto che fin da piccolo il Giappone ha esercitato un fascino unico sulla mia immaginazione. Avrei dovuto avere tutto pronto, una guida in tasca, denaro nel portafoglio, un piano di attacco turistico nei minimi dettagli... E invece l' unica cosa che mi ritrovo e' una pagina da google map con vaghe indicazioni di come arrivare all' hotel. Peccato che la stampa sia illegibile e le dimensione della cartina troppo piccole per decifrare gli ideogrammi. Il mio aspetto poi non deve essere dei piu' rassicuranti -barba lunga nera e capelli rasati- visto che nessuno dei miei tentativi di fermare i passanti sta producendo alcun risultato. Anzi mi stanno scansando in modo piuttosto evidente. Alla fine pero' a forza di girare intorno riesco a trovare la direzione giusta e dopo cieco e lungo girovagare a infilarmi nella porta dell' hotel.

Scopro cosi' che tutte le mie carte di credito sono bloccate e Visa ha un circuito diverso per il Giappone. Chiamo la mia banca, sblocco le carte ma non trovo nessun atm che accetti la mia carta. Poco male. Sono in Giappone, nella citta' dei Templi e con tutti questi giardini e simboli Zen intorno mica mi posso arrabbiare. Accetto passivamente e spendo cosi' un giorno e mezzo senza cibo, finche' l' insegna luminosa di una banca americana mi fa capire che il digiuno e' finito.



Al mercato, cerco di mimetizzarmi tra la
folla. Senza molto successo

Come per magia il flusso di passanti per strada  mi spinge verso il mercato del cibo di Nishiki, tra banchi di pesce, verdura, dolci. In modo casuale provo ogni cosa che sembri non contenere carne...decido che posso contravvenire alle mie regole e posso mangiare il pesce. Indico con il dito, sorrido al venditore e mangio moscardini con la testa ripiena di uovo, tempura di verdura, spiedini di pesce, pesce secco con mandorle, tofu strafritto, zuppa di te' verde e fagioli dolci.... quale modo migliorare per iniziare a conoscere la cucina di un posto? 
Il cibo e' stato senza dubbio l' esperienza piu' interessante del viaggio, per la varieta' dei sapori e forme, per la cura che viene profusa nella preparazione di ogni piatto. Per ben due sere ho goduto della immensa ospitalita' giapponese e sono stato invitato a cena in due ristoranti di extra lusso. Una cena lunga quasi tre ore, con innumerevoli portate mai viste prima, mentre io dopo gia' un' ora avevo le gambe addormentate dallo stare seduto per terra e al terzo giro di sake ero gia' cotto.

All' interno del tempio Higashi-Hoganjii. 
Al mattino presto nella grande sala all' interno
c'erano solo persone anziane. Mi sono sentito un po' fuori posto.

Mangiare a parte, forse dovrei scrivere della bellezza degli innumerevoli templi, delle contraddizione di una citta' che ha costruito orribili palazzoni (in uno stile molto italico) vicino al vecchio palazzo imperiale, dell' emozione di visitare il tempio di Sanjusagendo dove mori in duello il maestro Musashi, della bellezza dei giardini ancora rossi di autunno... vi lascio qualche foto scattata con una macchina di fortuna, nella speranza di tornare presto in terra d'oriente per avere altre storie e luoghi da raccontare.

Te' verde, gnocchi di farina bianca e fagioli azuki. Un dessert perfetto


Fontana e mestoli di bambu' per purificarsi prima della preghiera


Castello Nijo, residenza dello Shogun, ovvero il "generale" delle
forze imperiali  che
de facto controllo' il Giappone dal 1192 al 1867 



All' interno del palazzo imperiale. Un raro colore arancio 
di chiara influenza cinese.